Educazione al vasino….molto più di una questione di tecniche..

Il mio lavoro di Psicologa è iniziato in un ospedale pediatrico circa 15 anni fa, nel servizio di Gastroenterologia Pediatrica. Oltre a scoprire un mondo difficile, quello delle malattie pediatriche, scoprivo anche tutta una serie di disturbi che si manifestano attraverso il corpo del bambino, ma che in realtà parlano della sua mente, delle sue emozioni, delle sue sofferenze. Incontravo intere famiglie che si arrovellavano a comprendere perché loro figlio si rifiutasse di fare la cacca, o si rifiutasse di farla nel vasino, oppure perché facesse la pipì addosso o in terra, o non volesse salutare il pannolino. Da allora non ho mai smesso di aiutare i genitori a comprendere quante cose comunichi il bambino, ancora prima di poterlo fare con le parole, di quanto noi essere umani siamo in comunicazione profonda e scambiamo memorie di esperienze fin dai primi attimi di vita nel grembo di nostra madre.

Ecco allora che per avvicinarsi a comprendere quale sia la strada migliore per consentire a un bambino di fare serenamente la cacca e la pipì senza che questo diventi un terreno di lotta è necessario fare un passo “indietro”, lasciare stare tecniche e strategie che vanno così tanto di moda nell’epoca delle soluzioni facili, e entrare in contatto con questa dimensione comunicativa più profonda, dove attraverso il corpo il bambino cerca di dire come sta.

Chiaramente ogni storia tra un bambino e i suoi genitori è un universo a sé, un universo ricco di colori e sfumature uniche, qui cerco solo di dare qualche sollecitazione che deriva dalla mia esperienza nell’accompagnare i genitori. Il bambino è immerso in una comunicazione corporea fin dal concepimento, non è un caso che è stato “messo” lì proprio nel corpo della madre senza soluzione di continuità, in modo che lei possa fare esperienza di questa continua comunicazione che non avviene con parole o gesti, ma sentori, sensazioni. Le donne in gravidanza sono quasi in una dimensione onirica, sembrano un pò rincoglionite a volte, ma in realtà hanno capacità sensitive superiori alla norma. Questo serve loro a sviluppare maggiore consapevolezza verso minimi movimenti non solo fisici ma anche emotivi e psichici. Le madri sanno, straordinariamente sanno. Mentre cresce il loro figlio, crescono anche loro. Poi arriva il parto e non per tutte è un’esperienza di continuità col prima, anzi c’è da dire che purtroppo la medicalizzazione del parto è talmente alta, che per molte il parto diventa un atterraggio spiacevole a una dimensione difficile, talvolta crudele. Quella crescita interiore che stavano attraversando si interrompe improvvisamente e con essa anche la loro comunicazione intuitiva col bambino. Chiaramente questa interruzione, o queste difficoltà possono avvenire anche quando il parto è fisiologico o non disturbato ma semplicemente perché la genitorialità risveglia dinamiche interne loro o della coppia, o conflitti antichi e mai risolti. Queste difficoltà spesso tendiamo a superarle non lasciandosi andare ad un viaggio nel profondo, proprio di ogni puerperio, ma attiviamo un approccio diciamo più “razionale” all’accudimento, tipico di questi tempi, dove come genitori siamo portati a scegliere regole e pratiche. Inizia la lotta con gli orari, il problema del sonno, “ora dovrebbe dormire” ora “dovrebbe mangiare”.

Se da una parte la routine e i rituali aiutano sia i genitori che la madre ad avere più stabilità nella quotidianità, dall’altra non dobbiamo scordare che l’equilibrio non è racchiuso in orari e regole, ma è qualcosa che riguarda il mondo interno dei genitori, la loro capacità di ascoltarsi dentro, di ascoltarsi reciprocamente e di ascoltare il bambino. C’è una connessione continua tra la vita dei genitori e le funzioni del bambino, fin da quando è neonato. Non avere questo equilibrio e questo contatto con le proprie emozioni da parte dei genitori porta il bambino a sentirsi in balia e quindi manifesta rapidamente difficoltà a dormire, ad alimentarsi ecc…

Lui non ha dimenticato, lui continua a comunicare attraverso il corpo proprio come la natura ha predisposto che sia.

E allora se per quanto riguarda il dormire, o il mangiare o altro può finire per adattarsi al volere del genitore, quando arriva il momento della cacca e della pipì, che è qualcosa di intimamente suo, dentro il suo corpo e che nessuno può decidere “se e quando”, ecco che mette in atto comportamenti che spiazzano completamente i genitori. E’ come dicesse “ora che finalmente ho qualcosa di mio, ne faccio ciò che voglio”. Anche se poi i comportamenti possono essere diametralmente opposti, a secondo del bisogno del bambino, dall’enuresi che è un non controllo della pipì alla stipsi che è un controllo totale sulla defecazione tanto da riuscire a trattenerla per giorni, sta di fatto che la strada è quella di un’azione su un terreno su cui i genitori possono fare poco e nulla.

Ci sono i genitori che si adattano silenti cambiando pantaloni e lenzuola bagnate per anni, ci sono genitori che lasciano il pannolino a oltranza, ci sono genitori allarmati che ricorrono a professionisti, di solito medici. Se da una parte è importante escludere qualsiasi condizione organica, dall’altra è facile accorgersi nella maggioranza dei casi che il sintomo è l’effetto di un disagio. Talvolta bastano pochi incontri per fare luce sulle dinamiche e già si può avere rapidi miglioramenti, ma non si deve dimenticare che la strada da percorrere è una lente e paziente consapevolezza verso se stessi e la comunicazione corporea col bambino. Le strategie di qualsiasi tipo siano, portano solo a situazioni momentanee.

Per concludere vorrei aggiungere che per millenni i bambini sono stati cresciuti senza pannolini, o al massimo con delle semplice garze che facevano intuire subito alla mamma che il bambino era bagnato. Oggi i pannolini di ultima generazione “asciutto per ore” (come dice la pubblicità, anche quando il bambino ha già fatto dentro 4-5 pipì come minimo, stanno facendo dilatare incredibilmente i tempi di utilizzo del pannolino, minando l’autonomia dei bambini. E’ tutt’ora possibile optare per il “senza pannolino”. Ho cresciuto due dei miei tre figli senza pannolino, ed è stata una scoperta, anzi una ri-scoperta di quanto anche attraverso l’eliminazione di feci e urine vi sia una comunicazione e una sintonizzazione con l’adulto continuativamente. Non si deve aver paura di riscoprire questa pratica perché è meno impegnativa di quanto si pensi e soprattutto perché ci riporta alla fisiologia. Non è un training è un ascolto, ma di questo parlerò un’altra volta.

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