IL TRAUMA PERINATALE

Per trauma perinatale si intende tutto ciò che può accadere a madre e bambino dal concepimento ai primi mesi dopo la nascita e che crea nella madre, nel bambino o in entrambi un forte dolore fisico o emotivo o un allontanamento dalla fisiologia della gravidanza, della nascita, e dell’allattamento poi. In questo grande contenitore del trauma perinatale possiamo mettervi eventi che accadono “accidentalmente” come la morte di un caro, traslochi o trasferimenti impegnativi, crisi di coppia, ma anche ciò che accade al momento della nascita, come una nascita non fisiologica, medicalizzata, tramite cesareo o sotto l’uso di ossitocina sintetica, o quanto altro renda questo momento così delicato un evento di stress per madre e bambino. Il trauma perinatale comprende anche tutta una serie di eventi “silenziosi” ossia che non accadono “realmente” durante la gestazione o alla nascita, ma che riguardano precedenti situazioni traumatizzanti che la madre ha vissuto in passato e che si riattivano nella relazione col bambino che porta in grembo. Una donna che nella sua vita ha subito un trauma da abuso sessuale ad esempio può trovarsi in una condizione emotiva e psichica che non facilita la connessione col bambino, può avere paura del parto e non sentirsi pronta “ad aprirsi” a questa esperienza corporea.

Oggi è ampiamente sottovalutato l’impatto dei traumi perinatali sia nella madre ma soprattutto nel bambino. Il neonato è ancora vissuto come un essere non pienamente in grado di sentire e vivere profondamente il mondo che lo circonda. Il pianto disperato del neonato che viene visitato e riceve procedure mediche al momento della nascita viene normalmente accettato come parte della routine ospedaliera. E così anche per la madre, la tipica espressione che viene usata dopo una nascita “madre e bambino stanno bene” spesso significa semplicemente sono salvi e in un buono stato di salute fisica. Non si considerano mai le enorme conseguenze che invece possono esservi sul piano emotivo se tutto non è andato come sarebbe dovuto, ossia con amore, intimità e grande rispetto della fisiologia. La madre dopo un parto difficoltoso potrebbe sentirsi molto spossata, aver difficoltà ad accudire il bambino o nell’avvio dell’allattamento. È necessario una rete di supporto valida e accogliente.

La mia visione non è quella secondo cui il trauma perinatale è l’unico grande trauma che compromette tutta l’esistenza dell’individuo, per cui non credo molto alle semplici tecniche regressive di “rebirthing” o del “grido primale”, credo piuttosto che il trauma perinatale, diffuso direi enormemente nel mondo occidentale e non solo, è una prima grande ferita che viene inflitta all’individuo e apre talvolta la strada a tante altre ferite che si ripeteranno nel corso dell’esistenza. Vi sono numerosi studi ad oggi che confermano le conseguenze a lungo termine di ciò che avviene al momento della nascita. Ciò che avviene nel periodo primale crea un’impronta psicosomatica che accompagnerà la persona nel corso della sua esistenza.

Il mio lavoro con le madri e coi neonati si concentra su tutti questi aspetti del trauma perinatale e parte da una idea forte che ho maturato in questi anni di esperienza accanto alle madri.

La psicologia classica e la psicoanalisi hanno spesso visto il periodo della gravidanza come un periodo in cui la donna entra in uno stato regressivo che non consente più di tanto di lavorare su certe dinamiche profonde, come se si dovesse preservare uno falso stato di “beatitudine” della donna gravida. La mia esperienza invece mi ha portato a vedere che il concepimento, la gravidanza e la nascita di un bambino sono occasioni uniche di elaborazione di certi traumi sia per la madre che per il padre. È vero che in un certo senso la gravidanza col suo speciale assetto ormonale, crea una condizione di regressione emotiva della donna, ma la definirei, prendendo in prestito un concetto formulato da Balint (psicoanalista, autore di due importanti testi “Il difetto fondamentale. Aspetti terapeutici della regressione” (1968) e “L’amore primario”(1952) ), una sorta di “regressione benigna” ossia una regressione che in condizioni di sicurezza e accoglienza (ovvero di una funzione materna da parte del terapeuta) mette il soggetto in grado di entrare in contatto col dolore e col vero Sé, riuscendo a elaborare buona parte dell’esperienza traumatica. La donna in gravidanza, quando le viene offerto questo ambiente caldo e di fiducia, ha la possibilità di iniziare un vero e proprio viaggio dentro se stessa e il suo passato di figlia e di entrare in contatto anche con una stupefacente rapidità con paure e angosce profonde, che solitamente richiedono anni di terapia per essere contattate. Al terapeuta che intende lavorare su queste fasi della vita, non è richiesto solo un bagaglio professionale e personale di lavoro interiore, ma anche una buona conoscenza di tutta la fisiologia che riguarda la gravidanza, la nascita e l’allattamento. Oggi c’è una grande carenza formativa in questo settore che erroneamente è stato visto più a carico della puericultura che della psicologia, ma entrambe queste discipline sono unite e indissolubili, come l’opera del pediatra-psicoanalista Winnicott ci ha ben insegnato. È necessario conoscere a fondo come funzionano e quali meccanismi sottendono la gravidanza, il parto e l’allattamento, in quanto il trauma perinatale si manifesta primariamente con l’alterazioni di queste funzioni. Neonati che non dormono o piangono in modo inconsolabile (le cosiddette “coliche dei tre mesi”), difficoltà nell’allattamento, frequenza di malattie come riniti, bronchiti, dermatiti nei primi mesi di vita, ecc..

Lavorare con mamme e neonati in queste fasi consente di ottenere buoni risultati riscontrabili immediatamente nella relazione madre-bambino in termini di maggiore successo dell’allattamento al seno, ritmi sonno-veglia, risoluzione del pianto inconsolabile del neonato o qualsiasi altra difficoltà che si presenta nel puerperio e nella crescita del bambino. Il lavoro deve essere richiesto dalla madre o dal padre, che si impegnano così in un percorso non certo facile ma di grande rilievo. È possibile, e talvolta auspicabile fare il percorso con la presenza del bambino, in quanto egli stesso connesso simbioticamente con la madre, ne è di fatto attore e spettatore in prima linea, e lui stesso elabora il tutto in parallelo all’elaborazione materna.

La nascita di un bambino può significare così una rinascita anche per i genitori.

Ornella Piccini

LETTURE CONSIGLIATE

Balint M., (1952)“L’amore primario. Gli inesplorati confini tra biologia e psicoanalisi” Tr.it Raffaello Cortina 1991

Bowlby J., (1969) “Attaccamento e Perdita. L’attaccamento alla madre”Bollati Boringhieri 2000

Bowlby J., (1972) “Attaccamento e Perdita. La separazione dalla madre” Bollati Boringhieri 2000

Bowlby J., (1980) “Attaccamento e Perdita. La perdita della madre” Bollati Boringhieri 2000

Barnett C.R., Liederman P.H., Grobstein R. e Klaus M., (1970) “Neonatal separation: the maternal side of interactional deprivation” Pediatrics, vol.45, 197-205

Davis-Floyd R., (1992) “Birth as an american rite of passage” University Of California Press, Barkley

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Ferenczi S., (1929) “Il bambino indesiderato e il suo istinto di morte” in Fondamenti di Psicoanalisi Vol. III, ulteriori contributi (1908-1933) Guaraldi Editore 1974, pp.360-365

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